I vulcani più distruttivi

I danni più gravi apportati dalle eruzioni vulcaniche dipendono dalle ricadute piroclastiche. Nel 1973 l’eruzione del vulcano Heimaey in Islanda, fece crollare quasi tutte le costruzioni della vicina città, ed è significativo il fatto che le che casa sopravvissute avessero tutte dei tetti spioventi. A Pompei, per esempio, il crollo della maggior parte dei tetti fu dovuto al fatto che essi erano piatti e la città era costruita prevalentemente in pianura, non offrendo alcun dislivello che consentisse alla cenere e all’aria bollente di scorrere più a valle. Le ceneri possono anche ritardare le operazioni di evacuazione e di salvataggio in quanto ostruiscono le vie di collegamento e mettono in pericolo la navigazione aerea, soprattutto le operazioni con gli elicotteri. L’esplosione del vulcano Pinatubo nel 1991 ricalcò lo schema classico delle eruzioni fortemente distruttive; il vulcano islandese eruttato nel 2010 provocò il blocco della navigazione aerea per oltre un mese, provocando danni per miliardi di dollari. Gli effetti a lungo termine della polvere vulcanica che aveva raggiunto la stratosfera e veniva portata in tutto il mondo vennero osservati per la prima volta nel 1883 quando il Krakatoa scoppiò con la forza di 26 bombe atomiche all’idrogeno. Soltanto negli anni Settanta, gli studiosi hanno compilato un elenco delle eruzioni vulcaniche mettendole in relazione con i mutamenti climatici. Essi dimostrarono che l’energia liberata dalle eruzioni vulcaniche produce effetti meteorologici che possono alterare pesantemente il clima.

Le fotografie prese da un pallone sonda in Francia nel giugno del 1980, cioè tre settimane dopo la potente eruzione del Monte St. Helens, negli Stati Uniti orientali, hanno fatto vedere l’atmosfera carica di un ininterrotto strato di polvere. Le analisi dimostrarono che la luce che veniva riflessa senza poter raggiungere la Terra era almeno il triplo del normale. Gli scienziati ritengono che le ceneri eruttate dal Monte St. Helens e arrivate fino alla stratosfera furono responsabili di un aumento del 25% delle precipitazioni piovose, della diminuzione del 15% dell’illuminazione solare e della riduzione media di un grado della temperatura estiva dell’Europa occidentale. Gli stessi effetti di lungo termine furono segnalati anche in seguito all’esplosione del Pinatubo. Dopo le eruzioni vulcaniche scoppiano facilmente gli incendi nelle feste e gli edifici di legno sono i primi ad andare distrutti. Ma la minaccia più seria posta da uno stratovulcano, potenzialmente distruttivo come il Vesuvio, deriva dalle emissioni piroclastiche, le quali sono diluvi di detriti vulcanici, di polvere e di frammenti di roccia, con temperature che possono superare i 1000° C. Come nel caso delle esplosioni nucleari, le detonazioni piroclastiche creano violenti spostamenti d’aria e il materiale caldissimo può viaggiare a 180 km /h. Le scottature interne subite da un organismo provocano la morte lenta e dolorosa, mentre le scottature esterne possono portare al crollo degli edifici, a causa dell’esplosione delle condutture del gas. L’esplosione di Pompei, la più famosa della storia, ha letteralmente disintegrato il Vesuvio, che prima era semplicemente conosciuto come una montagna dalla forma molto addolcita. Il Vesuvio, per la sua conformazione e la presenza di molti abitanti alle sue pendici, è considerato tra i vulcani più pericolosi. A differenza dell’Etna, che pur essendo più attivo e imponente, erutta in maniera meno esplosiva, ma forse più spettacolare.