Chi era Nostradamus?

Un idiota, potrebbe dire lo scettico. Un genio, risponderebbe l’amante dell’esoterismo. Michel de Nostredame è passato alla storia come il più importante sapiente e chiaroveggente. Con le sue misteriose quartine si è detto che abbia predetto i più importanti avvenimenti occorsi dopo di lui. In questo momento non ci interessa verificare se quanto scrisse si è effettivamente avverato perché le sue rime possono essere interpretate in tanti modi diversi. Ci interessa parlare della sua vita e di come divenne un veggente così famoso. Le immagini tradizionali che abbiamo di Nostradamus sono quelle del sapiente con la barba bianca, sereno ed elegante. Un’immagine che ricorre nell’iconografia tradizionale del mago o del filosofo, fin dai tempi di Socrate. Nelle incisioni appare quindi come un uomo pieno di sapere, che incarna le qualità più elevate in termini di conoscenza. Al tempo, intorno al Rinascimento, la conoscenza era considerata valida se universale. La specializzazione non esisteva. Un sapiente, un “dottore”, come si diceva allora, era in grado di apprendere molte materie, sia studiando e insegnando all’università (le prime erano operative ormai da tre secoli abbondanti), sia industriandosi per conto proprio e mettendosi al servizio dei principi e dei signori. Era considerato sapiente quindi colui che aveva vastissime conoscenze sull’uomo e sul mondo in tutti i suoi aspetti. L’esempio di Leonardo da Vinci è molto calzante, anche se un genio come il suo, visti anche gli esiti artistici, era più l’eccezione che la regola.

Nostradamus era un medico che conduceva una vita tutto sommato tranquilla, anche se non mancarono degli elementi di avventura. Il suo destino fu molto paradossale e pieno di imprevisti, quasi a contrastare la sua presunta capacità di vedere “oltre”. Fu impegnato in prima linea nel combattere la peste, un morbo che spesso si diffondeva a macchia d’olio, incentivato dagli scambi commerciali sempre più ampi. In una di queste epidemie perse la moglie e i due figli avuti da lei. Fu la peste a spingerlo a viaggiare, visitando il resto della Francia, la Germania e l’Italia che allora rappresentavano il centro della cultura classica. Per dodici anni fu praticamente un vagabondo, entrando in contatto con personalità vicine alla magia, all’alchimia, all’astrologia. Lesse opere condannate dalla Chiesa ed entrò in contatto con gli scritti del famoso alchimista e farmacologo Paracelso. Forse ebbe contatti con il mago tedesco Faust, che ispirò il celebre dramma di Goethe. Tornato in Francia si risposò e diede alle stampe la prima parte delle Centurie profetiche. Morì nel 1866 probabilmente di gotta. Le sue opere presero a circolare solo molto tardi e furono in seguito collegate ad avvenimenti già accaduti, il che ovviamente – con piglio scientifico – ci fa dubitare della loro reale importanza. Le capacità divinatorie erano ancora apprezzate in un tempo in cui il razionalismo scientifico stava appena nascendo.