Quando si parla di serial killer, l’immaginario collettivo tende a evocare figure maschili, spesso isolate e compulsive, mosse da pulsioni sessuali o ideologiche.
Le donne serial killer esistono, nella storia, ma operano secondo dinamiche differenti: agiscono in contesti domestici o relazionali, si muovono all’interno di ruoli socialmente accettati come quello materno o assistenziale, e spesso uccidono con modalità indirette.
Molto più rare rispetto agli uomini, ma non meno spietate, queste figure delineano una genealogia inquietante, ancora oggi poco esplorata.
Chi sono le serial killer: profilo e specificità
Diversamente dagli uomini, le serial killer tendono ad agire per motivazioni affettive, economiche o relazionali, più che per impulso sessuale o delirio di potere. I metodi sono meno eclatanti ma sistematici: avvelenamenti, soffocamenti, iniezioni letali. Il mimetismo sociale – madri, mogli, infermiere, assistenti all’infanzia – le protegge più a lungo dal sospetto.
La loro violenza assume spesso una dimensione rituale o strumentale, in cui il potere si esercita attraverso il controllo della vita altrui, più che nella spettacolarizzazione della morte.
Leonarda Cianciulli (Italia)
Nota come la Saponificatrice di Correggio, operava in Emilia tra le due guerre. Convinta che solo un sacrificio umano potesse salvare la vita dei suoi figli, attirò tre donne nella sua bottega, le drogò, le fece a pezzi e sciolse i resti nella soda caustica.
Dalle testimonianze del processo, pare abbia usato il grasso per produrre sapone e dolciumi che distribuiva ai vicini. Fu condannata a trent’anni di carcere e tre di manicomio criminale.

Elizabeth Bathory (Ungheria)
Aristocratica ungherese del XVI secolo, considerata tra le più efferate serial killer della storia europea. Protetta dal rango, seviziava e uccideva giovani serve nel suo castello.
Secondo alcune fonti, avrebbe commesso gli omicidi per prolungare la propria bellezza, arrivando a bagnarsi nel sangue delle vittime. Fu murata viva in una stanza del maniero, dove morì nel 1614.
Getsche Gottfried (Germania)
Attiva nel primo Ottocento, uccise quindici persone tra cui i genitori, due mariti, i figli e diversi amici, somministrando arsenico in modo graduale. Fu condannata alla decapitazione, eseguita pubblicamente a Brema nel 1831: fu l’ultima esecuzione pubblica della città.
Dagmar Overbye (Danimarca)
A Copenaghen, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si presentava come balia per neonati illegittimi. Li accoglieva e li sopprimeva, spesso bruciandone i corpi nella stufa di casa. Confessò 25 omicidi, anche se ne furono provati “solo” sedici. Fu condannata all’ergastolo.
Amelia Dyer (Inghilterra)
Figura su cui si potrebbe raccontare tanto, dato che rappresenta al meglio il fenomeno del “baby farming”. In pratica, in cambio di denaro, prendeva in affidamento i bambini considerati indesiderati, che poi lasciava morire di stenti (se non li strangolava prima). Fu condannata a morte per impiccagione nel 1896, dopo aver confessato decine di delitti. Ma si pensa possano essere molti di più.
Beverley Allitt (Regno Unito)
Un caso più moderno che fece scalpore. Questa infermiera pediatrica fu condannata a 13 ergastoli, nel 1993, per avere ucciso quattro bambini e averne quasi mandato al creatore altri nove, con dosi letali di insulina o aria nei vasi sanguigni.
Il suo caso scosse l’opinione pubblica e alimentò il dibattito sulla sindrome di Münchhausen per procura.
Aileen Wuornos (Stati Uniti)
La prostituta Aileen fu giustiziata nel 2002 con l’iniezione letale. Fu un caso così famoso da ispirare il film Monster, con Charlize Theron, che visse il premio Oscar per l’intepretazione di questa serial killer che, tra il 1989 e il 1990, uccise sette uomini in Florida. Dichiarò di aver agito sempre per legittima difesa.
Kristen Gilbert (Stati Uniti)
Un’altra infermiera americana, Kristen Gilbert venne accusata di aver causato la morte di quattro pazienti, con iniezione di epinefrina (adrenalina). Secondo i giudici che la condannarono all’ergastolo nel 2001, il movente era il suo desiderio di fare colpo su un collega.
Jane Toppan (Stati Uniti)
Nata Honora Kelley, confessò di aver ucciso più di trenta persone tra pazienti e familiari. Somministrava cocktail di morfina e atropina, rimanendo accanto alle vittime durante l’agonia. Internata in manicomio nel 1902, dichiarò: “Mi ha rovinato il fatto di non essere diventata moglie e madre”.

Rosemary West (Regno Unito)
Insieme al marito Fred partecipò a una lunga serie di abusi, torture e omicidi, tra cui quello della loro figlia. Condannata all’ergastolo nel 1995, continua a scontare la pena. Il caso suscitò scalpore per la brutalità degli atti e la complicità familiare.
Tipologie di serial killer donne
Le serial killer si collocano in categorie ricorrenti:
- Infermiera killer: approfittano della fiducia nel ruolo assistenziale (Gilbert, Allitt, Toppan)
- Madri e balie assassine: agiscono nel contesto dell’infanzia (Overbye, Dyer)
- Vendicatrici e relazionali: motivazioni affettive, traumi, marginalità (Wuornos, West)
- Sadiche e manipolatrici: operano per controllo, ritualità, potere (Bathory, Gottfried)
Rappresentazione culturale
Il cinema ha contribuito a mitizzare queste figure, trasformando in icone personaggi reali. Il caso di Aileen Wuornos è esemplare: il film “Monster” ne ha restituito una versione ambigua, tra vittima e carnefice.
Altre, come la Bathory, sono entrate nel folklore gotico. I media oscillano tra fascinazione e demonizzazione, spesso appiattendo la complessità psicologica delle storie reali.